Licia Galizia

di Fabio Mauri | 1992

La gracilità come sistema interno e costitutivo dell’arte sembra potersi applicare letteralmente alle strutture ferme, tra loro correlate, mobili anche, di Licia Galizia.
L’insediamento di questa filiforme tela di relazioni, inserita però, con non poca violenza, nel muro della realtà.
È un assioma.
Ciò che è fragile è, al pari di ciò che non è fragile.
Grazia e forza. O grazia mirata a quel “fine (lieto” o risultato poeticamente assertivo che è l’opera d’arte.
È insolito parlare della persona dell’autore, un’autrice in questo caso. Qui va fatto. la relazione tra Licia e le sue opere è fisica.
Licia Galizia è una ragazza minuta e aggraziatissima, molto bella, perfettamente ritagliata dentro una donna grande, energica nell’intenzione di partecipare al mondo dei significati, con acume e severità, direi.
La sproporzione tra Licia e l’infinitezza delle sue idee è idealmente fissa come una proporzione. Una relazione ideocorporea.
Qualche frase di Licia non va dimenticata: «Ho fatto opere che si allungano perché io ho desiderato crescere fin da piccola» (Licia a me, mostra alla Galleria Eralov, Roma). Licia chiude i grandi occhi miniaturizzati con malinconica seduttività. O fissa diritta l’interlocutore, se chi parla trucca un po’ il gioco, o è impreciso. Un temperino affilato che non consente distrazione.
È aggressiva?
È aggressiva. O è il caso di dolcezza più aggressivo che io abbia conosciuto. Come le sue opere, adulte o neo nate, reinserite dentro il muro.
L’arte di Licia tende a imporre idee di struttura della realtà e dell’arte, inserite nella visione a cominciare dalle loro radici (di luogo o di non luogo se si vuole), che ha forma interiore di suo luogo formale, luogo di dominio, di esperienza, di scommessa profonda, Licia occupa di misura lo spazio del simbolo. Le sue sculture concettualmente non sono trasferibili. Interne, radicate e parallele, come “sculture a fresco” nel e sul muto.
Se un riferimento va fatto per le preferenze che orientano il giusto geometrico delle combinazioni murarie, rilevo che ogni moto qui è meccanico.
Non è un segno di essenza di movimento, né un microsecondo di una successione in moto. È un gesto, ripetibile come un gesto. Obbligato dalle sue strutture di forza a prodursi nello spazio circonvicino. L’asserzione di esattezza di insistenza è il codice calibrato della sua geometria espansiva.
Gli asserti della poesia sono spesso regole abituali delle ossessioni straordinarie.
La scultura nasce dalla realtà? Licia Galizia lo dice, un’opera dopo l’altra.
La nicchia geometrica è nella sua mente. La trama dell’immaginazione fa conto d’essere, perché lo crede, affonda, è, una trama della realtà.
Nata in Abruzzo, Teramo, diplomata all’Accademia di Belle Arti L’Aquila, ha partecipato allo spettacolo «Gran Serata Futuristica 1909-1930», interpretato da giovani artisti. Faceva l’aeroplanino, in tutù rosso. Visto che il teatro annulla le misure, era una grande donna accompagnata da l’Intonarumori di Russolo