La nostra tradizione culturale è stata più propensa a considerare le forme simboliche piuttosto che i processi socio-culturali che le determinano, e quindi le forme come assiomi piuttosto che come media, ovvero come dispositivi che determinano i territori che abitiamo e nei quali costruiamo relazioni. Di conseguenza si è consolidato un punto di vista basato sulla contrapposizione tra forme e mondo, inteso questo come una rex extensa caotica e opaca alla quale dare senso attraverso la forma. Le nuove piattaforme digitali, basate sull’interattività, invece spostano l’esperienza dalla contemplazione all’immersione. La svolta socio-antropologica che le accompagna, in campo estetico, consiste nella convergenza dell’atto creativo con la fruizione. Dentro questa svolta in atto cresce la ricerca di Licia Galizia e Michelangelo Lupone sui Volumi adattivi. Una ricerca nuova ma che, a ben vedere, affonda le sue radici proprio nella “tecnologia” in quanto “forma sociale simbolica” di una creatività che vive della relazione e ibridazione tra soggetti, tra organico e inorganico, tra fruitore e ambiente, tra sperimentazione e tradizione.
La cultura rinascimentale ha costruito in Occidente l’immagine di un uomo che si muove in uno spazio neutro e vuoto che prendeva il posto di uno spazio animistico, come quello medioevale. E’ stato un passo indispensabile che ha permesso di pensare il corpo come macchina. L’anatomia umanistica attraverso il disegno ha descritto un meccanismo, ha trasformato il corpo da agglomerato misterioso in un artefatto riproducibile e spiegabile. Il corpo è diventato in grado di collegarsi col mondo, di sperimentare e quindi di inventare, cioè scoprire. Tuttavia questo modello epistemologico si è basato, proprio per riportare l’umano all’uomo, su costruzioni analogiche fondate sulla contrapposizione tra un corpo ideale e un mondo vuoto che assumeva senso nella misura in cui prendeva forme equivalenti a quelle dell’uomo. L’invemzione della stampa a caratteri mobili, il sistema gutenberghiano1, secondo Marshall McLuhan, è stata l’invenzione di un dispositivo statico, il testo appunto, rispetto al quale l’uomo si muove, legge, interpreta, costruisce significati. La scrittura come altre piattaforme comunicative quali il quadro o la scultura, in quanto forme stabili, hanno implicato un punto di vista altrettanto centrato sulla fissità dell’esperienza di fruizione. Su questi modelli epistemologici si è confermata una postura, un brainframe2 dal quale è derivata la concezione gestaltica della forma: l’oggetto distinto e distante dal soggetto che lo interpreta.
A partire dalle onde radio lo spazio vuoto non ha più avuto alcun senso ed è stato sostituito dall’immagine di un campo di forze interagenti tra loro. La scomposizione cubista ha reso questo cambiamento, ma nella riflessione critica ha comunque prevalso il modello epistemologico antropocentrico. Perciò, anziché cogliere nel campo di forze la perdita del senso della cornice a favore di una performatività continua che, come di fatto è accaduto, ha progressivamente dilatato il senso dell’opera all’esperienza del mondo, si è preferito soffermarsi sulla specializzazione linguistica, alla ricerca di un’ideologica essenza dell’arte, da rintracciare ad esempio, nella bidimensionalità della pittura.
I dispositivi fondati sull’interazione, conseguenza della rivoluzione digitale, hanno spostato ulteriormente l’esperienza estetica – nel senso proprio di processo cognitivo sensoriale – sul versante dell’immersione, dell’esperienza psico-somatica e quindi della presenza attiva del corpo del fruitore, piuttosto che sul versante umanistico della contemplazione e della lettura della forma. L’immersione avviene però dentro un spazio apparentemente illimitato ma che comunque comporta una serie finita di possibilità. Prima delle piattaforme digitali, la dimensione illimitata dell’immersione appartiene piuttosto alle metafore, all’ordine dell’allegoria neo-barocca che affonda le sue radici nell’esperienza sensoriale dello spettacolo metropolitano, come lo hanno descritto Georg Simmel e Walter Benjamin. Parliamo invece propriamente di interazione quando facciamo riferimento a sistemi che rispondono in modo deterministico all’azione dell’utente. L’utente in questo caso si trova di fronte ad un organismo complesso ma finito. L’utente dispone di un testo non sequenziale, come un ipertesto ad esempio, rispetto al quale ha una libertà di movimento che si svolge comunque all’interno di un numero finito di possibilità concrete. E’ il passaggio dal sistema analogico delle corrispondenze a quello digitale delle connessioni interattive che ci consente l’esperienza di uno spazio denso che diventa luogo abitato performativamente attraverso le nostre azioni e connessioni. Uno spazio dunque che non è più fermo di fronte a noi ma si muove e ci viene incontro, come è già stato –da un punto di vista spettacolare e allegorico – per l’immagine televisiva, acustico-tattile piuttosto che astratto-visiva (riprendendo ancora McLuhan). Il processo avviato dalla metropoli, che unisce insieme metamorfosi barocche, oggetti parziali e slittamenti di senso di tipo surrealista, avvia in modo significativo la ridefinizione dei soggetti, agendo direttamente sui processi cognitivi dell’uomo, in un senso che già si può intuire come post-umano.3 Dentro questa storia, così sinteticamente delineata, i Volumi adattivi di Licia Galizia e Michelangelo Lupone rappresentano un passo ulteriore, poiché sono sistemi in grado di evolversi come capita per un qualsiasi organismo vivente. Non c’è più un numero limitato anche se invisibile di risposte allo stimolo, come capita nell’interazione, bensì le risposte del sistema adattivo sono impredicibili o solo parzialmente tali. Quindi, quanto nell’interazione era solo suggerito dall’assenza di visibilità completa del testo, dal suo trasformarsi in territorio d’azione del fruitore, nel sistema adattivo, invece, è tale costituzionalmente. Sono queste caratteristiche che rendono la ricerca di Galizia e Lupone un esempio importante dello scenario definibile post-umano4, poichè entrambi lavorano non sulla costruzione di nuove forme simboliche del mutamento, cioè non creano sintesi formali che per analogia evocano nuovi modelli di esistenza, ma producono dispositivi in grado di consentire l’esperienza estetica come atto di muatzione in corso, di ibridazione. Infatti, secondo il modello di esistenza definito da Roberto Marchesini post-umano, il proceso di costruzione dell’uomo, l’antropoiesi, è dialogica e tende naturalmente all’ibridazione, anzi la favorisce ed è in grado di usufruirne. Di conseguenza la cultura è un non-equilibrio creativo, un continuo spostamento di soglia che facilita i processi ibridativi con i vari tipi di alterità. Le ibridazioni, inoltre, quasi sempre danno origine a una funzione completamente nuova e inattesa che si realizza nella perfomance ibridante. Dentro questa chiave di lettura, le possibili derive implosive dell’atto creativo, a ben vedere, sono piuttosto da leggersi come un “naturale non-equilibrio creativo” del processo di costruzione sempre in atto, e quindi non pre-vedibile, del modello di umanità.
I Volumi adattivi sono strutture vocazionalmente ibridanti la cui “a-formalità” (o “informe” come probabilmente avrebbe detto George Bataille) consiste in un non-equilibrio in quanto strutture aperte e processuali. Volumi plastici che possono mutare – e soprattutto imparare – in conseguenza dell’intervento del pubblico, volumi che producono suoni in base alla reazione dei loro materiali in grado di memorizzare e quindi avviare processi non del tutto gestiti dall’autore, anche se da questo innescati. L’opera in questi casi non si dà più come termine finalistico, come proiezione autoritaria di un modello antropologico fisso che si oppone, come un’isola rocciosa, ad un mare caotico.
Cosa diventa allora l’esperienza estetica? La rivoluzione elettronica e digitale comporta differenti modelli di esperienza cognitiva e quindi estetica che sembrano persino recuperare le componenti animistiche pre-umanistiche, ma in reltà solo in quanto esperienze immersive nell’immanenza di relazioni molteplici. Ad esempio c’è una consonanza indicativa, tra quanto Galizia e Lupone propongono come esperienza estetica e l’interconnessione che Howard Rheingold5 ha considerato a proposito della tecnologia senza fili e l’accesso mobile alla rete, ovvero l’emergere di una forma di intelligenza diffusa come quella rappresentata dalle Smart Mobs: milioni di persone che usano strumenti di comunicazione mobile sensibili alla posizione in ambienti pervasi da elementi informatici. L’esperienza estetica proposta da Galizia e Lupone, come le Smart Mobs di Reinghold, “ridisegna” il soggetto fuori dai limiti del suo corpo in un’interconnessione che assomiglia di più a quella che Maurice Merleau-Ponty ha chiamato “carne del mondo”. I contorni indefinibili di questa carne comprendono vari aspetti che potremmo ravvisare già nella prassi creativa basata non più sul singolo ma sulla collaborazione tra un artista visivo ed un compositore musicale, nonché sulla molteplicità di competenze scientifiche richieste, ma anche nella capacità del loro rispettivo lavoro di testare le possibilità produttive del disturbo e dell’interferenza, come Galizia ha già provato nel progetto Interferenze, o la capacità di ibridazione tra bene culturale e sculture sonore, come Lupone ha realizzato, di recente, nella quattrocentesca casina del Cardinal Bessarione a Roma, con i suoi Planofoni.
La tecnologia, pertanto, non è affatto l’ennesimo nuovo strumento con cui ribadire vecchie forme stabili da contemplare, ma una logica differente della creatività e della ricezione che affonda le radici in quella tradizione dell’invenzione che ha pure dato vita all’umanesimo, ma che oggi consente di sperimentare un modello più ampio di umanità, attraverso l’esperienza di saldature organizzate e variabili di più entità, per cui anche il gioco antico delle arti con i materiali, le forme e le proporzioni, prende l’aspetto più attuale di sperimentazione sensoriale di nuovi modelli ibridi di esistenza.
Our cultural tradition has always tended to contemplate symbolic forms rather than the social and cultural processes that created them, hence forms are considered the axioms rather than the medium or the tools that define the places in which we live and in which we build relations. Consequently, the contrast between form and world has become a consolidated viewpoint, the world being a chaotic and opaque rex extensa to which sense can be given through form. New digital platforms based on interaction, on the other hand, move the experience away from contemplation and towards immersion. The socio-anthropological shift that accompanies these platforms in the aesthetic field consists of the convergence of the creative act with its user and it is in this context that Licia Galizia’s and Michelangelo Lupone’s research has developed in Adaptive Volumes. New research with roots in ‘technology’, a ‘symbolic social form’ of creativity that comes alive through the relationship and hybridisation between subjects, between organic and inorganic, user and environment, between experimentation and tradition.
The Renaissance culture in the West built an image of man moving in a neutral and empty space taking the place of the animistic space of the medieval. This was an important step and allowed the body to be considered as a machine. Humanistic anatomy through drawing, described a mechanism and transformed the body from a mysterious agglomerate into an artefact that could be reproduced and explained. The body was able to link itself to the world, to experiment and therefore to invent or discover. However this epistemological model, to bring the human back to man, is based on analogous constructions founded on the contrast between the ideal body and an empty world and made sense in that it took forms equivalent to those of man. The invention of printing, the Gutenbergian system, according to Marshall McLuhan was the invention of a static instrument, text, with respect to which man moves, reads, interprets and constructs meaning. Literature and other communication platforms such as art or sculpture are stable forms that do not require user interaction and on these epistemological models a posture, a brain frame has consolidated from which the gestalt conception of form has derived: the object distinct and distant from the subject that interprets it.
Since the use of radio waves, empty space has no longer had sense and has been replaced by the image of interacting force fields. The cubist movement shows this change but the anthropocentric, epistemological model has prevailed among critics. The latter, rather than grasping the loss of the sense of the frame in favour of continual performance, have preferred to linger on linguistic specializations, the research of the ideological essence of art, to be traced for example, in the bi-dimensionality of a picture.
Instruments based on interaction, the consequence of the digital revolution, have further shifted the aesthetic experience – in the sense of the cognitive, sensorial process – towards immersion, towards a psychosomatic experience and thus the active presence of the body of the user rather than to the humanistic side of contemplation and reading of the form. This immersion however, is within an apparently unlimited space that nevertheless brings a finite series of possibilities. Before digital platforms, the unlimited dimension of immersion belonged mostly to the metaphor, to the order of the neo-baroque allegory that has its roots in the sensorial experience of the metropolitan show, as George Simmel and Walter Benjamin have described. Let us however look at the interaction we intend when we refer to systems that respond in a set way to the actions of a user. The user in this case finds himself in front of a complex but finite organism. The user has a non-sequential text, such as a hypertext, with regards to which he has liberty of movement that is, nevertheless, confined to a finite number of concrete possibilities. It is the passage from the analogical system of correspondence to the digital system of interactive connections that allows us to experience dense space that becomes a performatively occupied place through our action and connections. Therefore a space that is no longer immobile before us but mobile and able to move towards us – similarly to television, from an allegoric point of view acoustic and tactile rather than abstract and visible (taking up McLuhan once again)
The process set in act by the metropolis, that unites baroque metamorphoses, partial objects and sensorial shifts of a surrealistic type, leads to the re-definition of subjects acting directly on the cognitive processes of man, that could be defined as post-human. Adaptive Volumes by Licia Galizia and Michelangelo Lupone represents a further step in this brief history, being systems able to evolve like living organisms. In the adaptive system responses to a stimulus cannot be entirely foretold and are no longer an apparently unlimited number, as in interaction. So what was suggested by the absence of complete visibility of the text in the interactive scenario is the constitutional element of the adaptive system. These are the characteristics that make Galizia’s and Lupone’s research an important example of the post-human scenario as both work, not on the construction of new symbolic forms of change, i.e. not creating formal synthesis that by analogy evoke new models of existence, but rather on instruments able to permit the aesthetic experience as change, hybridisation in act. In fact, according to the model of existence defined by Roberto Marchesini as post-human, the construction process of man, the anthropoiesis is dialogical and naturally tends to hybridisation, even encourages it and is able to use it. Consequently, culture is a creative non-equilibrium, with continually changing limits that facilitate the hybridisation process with other entities. Hybridisations almost always give rise to a completely new and unexpected function that emerges in the hybridisation performance.
Adaptive Volumes are vocationally hybridizing structures whose lack of form (or ‘Formless’ as George Bataille might have said) consists of a non-equilibrium, in that they are open and progressive structures. Plastic volumes that can change and above all, learn as a result of interaction with the public; volumes that produce sound according to the reaction of their materials, able to memorize and therefore set off processes not entirely dependent on the author, even though initiated by them. The work in these cases cannot be considered a definitive and final result, like the authoritative projection of the fixed, anthropological model or the rocky outpost that strives to resist tempestuous waters.
What, then, does the aesthetic experience become? The electronic and digital revolution have brought differing models of cognitive and aesthetic experience which at first glance might appear to recall the pre-humanistic, animistic components but in reality are experiences immersed in the reality of multiple relationships. For instance there is an indicative harmony between what Galizia and Lupone propose as an aesthetic experience and the interconnection that Howard Rheingold considered of wireless technology and mobile access to the network or in other words the emergence of a widespread form of intelligence such as that represented by the Smart Mobs: millions of people who use mobile communication instruments, sensitive to the position of an environment pervaded by computer elements.
The aesthetic experience proposed by Galizia and Lupone, similarly to Rheingold’s Smart Mobs re-designs the subject outside the limits of its body, in an interconnection that is similar to what Maurice Merleau-Ponty called ‘chair du monde’. The indefinable limits of this include various aspects that are already recognized in the creative praxis, no longer based on individual ability but on the collaboration between a visual artist and a musical composer; on the multiplicity of different scientific abilities; on their capacity to test the productive possibilities of disturbance and interference in their respective work as Galizia has already demonstrated in the project ‘Interference’; on the capacity of hybridisation between cultural heritage and sonorous sculpture as Lupone recently demonstrated with his Planofoni® in the fourteenth century lodge of Cardinal Bessarione in Rome.
Technology is not, therefore, one of an infinitely long list of new instruments with which to reaffirm old, stable forms to contemplate, but a logic that differs from the creativity and the perception that has its roots in the tradition of invention which has given light to humanism. Technology today allows the experimentation of a wider model of humanity through the organized and variable soldering of experience so even the ancient game of art with materials, forms and proportions takes on a more modern aspect of sensorial experimentation of new hybrid models of existence.