Il costruttivo e aggettante lavoro di Licia Galizia. O meglio, la ricerca che si articola ancorandosi a una costruttiva solidità di intenti e di obiettivi e che contemporaneamente si lancia sulle sponde delle forme appartenenti a differenti ambiti artistici accostandole in una successione di sviluppi assolutamente coerenti e congruenti: ecco le parole con cui è possibile descrivere il lavoro di un’artista che ci sorprende a ogni sua nuova elaborazione visiva.
A partire dalla progettualità insita in ogni sua azione installativa che inizia dalla fase ideativa attraverso il disegno fino alla realizzazione nello spazio, e spesso in rapporto e infitta nella carne del muro, ogni sua opera risente di un pensiero che infilza tutte le fasi del lavoro con fermo e argomentato approccio, ma che si arricchisce, articolandosi e sostanziandosi con le caratteristiche del mutamento e della precarietà, ineludibili facce complementari di qualsiasi progettazione che non escluda il gioco, la passione, le ombre e persino l’arbitrarietà.
Rigore e geometria, ma anche variazione e manipolazione sono le facce d’un cubo su cui internamente rimbalza ogni suo lavoro. Il cubo si solleva, rotea nello spazio aprendosi a dimensioni geometriche non euclidee. Le nuove dimensioni sono quelle relative alle forme artistiche appartenenti ad ambiti diversi: danza, parola e musica. Sembrerebbe qui forse un gioco di prestigio far passare esperienze che da decine di anni si vanno intessendo fra le varie arti come nuove. Eppure, è ancora una volta il rigore della costruzione delle relazioni e degli apporti, al di fuori di una logica di mera multimedialità, a garantire un risultato mai scontato e di certo innovativo.
Nel 1997 realizza un’intersezione fra i suoi elementi di alluminio e le parole di Cecilia Casorati che acquistano volume spaziale e si inseriscono a viva forza nella struttura come se fossero una paradossale continuazione dei segni di Licia Galizia, i quali fuoriescono dalle pareti o s’incurvano contro l’ostacolo del vuoto.
Nel lavoro per la danza che risale al 1998 con Lucia La Tour, il progetto coreografico è determinato dalla presenza sulla scena dagli elementi tipici usati nelle installazioni, le canaline di zinco, ove persino il corpo dei danzatori viene utilizzato dalla Galizia per costruire e decostruire incessantemente l’opera sulla scena.
Nel 2004 con il clarinettista-compositore Paolo Marchettini ha luogo un intenso scambio per l’innesto tra le due forme: installativa e musicale. Il progetto che prende il nome di “Interferenze” si prefigge di costruire un dialogo in diretta tra esecuzione e idioma visuale e concettuale dell’installazione. I frammenti musicali eseguiti dal vivo, basati su moduli fissi e su moduli variabili esattamente come gli elementi in parte fissi e in parte scorrevoli dell’installazione, subiscono mutazioni dovute sia all’esecutore che al pubblico e si traducono in repentini arresti del flusso musicale e in brusche intromissioni di cellule sonore causate dalla variazione che la notazione musicale subisce nel corso della performance.
Una ripresa del rapporto con la parola, per un’elaborazione maggiormente meditata con la sua intrinseca e bidimensionale spazialità, porta Licia Galizia a lavorare con i testi della scrittrice Rosa Pierno, ideando una superficie equivalente a un foglio collocato sul muro su cui le parole offrono l’appiglio per attuare una variazione attraverso elementi squisitamente formali (rette e mensole) che evidenziano o occultano, di volta in volta, le parole all’interno del testo, grazie soprattutto alla partecipazione dei fruitori. In questo senso, il testo è di fatto modificato dal supporto e il supporto varia in funzione delle valutazioni del fruitore.
Ancora con Rosa Pierno dà inizio a una collaborazione incentrata sulla definizione dei “Volumi” nella loro doppia articolazione di libro e di oggetto spaziale. Dunque, in questo senso, una ricerca che si apre sull’individuazione di forme di leggibilità non canonica, in cui parola e segno condividono senza soluzione di continuità una valenza ibrida innestata su un’origine comune e potenziata dalla scelta artistica dell’artista.
L’esperienza accumulata nel volgere di pochi anni le consente di lavorare a opere innovative dal punto di vista della fruizione, della forma e del contenuto espressivo. La collaborazione col compositore Michelangelo Lupone vede la creazione di opere che integrano gli elementi plastici, i volumi architettonici alla musica e gli aspetti vibrazionali della materia alle caratteristiche della composizione musicale. Si tratta di opere che implicano la partecipazione attiva del pubblico (scelta del tempo, condizione d’ascolto, percorsi in cui il movimento è parte integrante dei criteri compositivi). Il trattamento scultoreo e musicale dei materiali permette di combinare in modo polifonico e poliritmico i suoni e di variare gli assetti volumetrici e formali mantenendo inalterati gli indirizzi espressivi.
Non vorremmo per questo distrarre lo sguardo troppo a lungo da Licia Galizia, al fine di poterla scorgere mentre spicca il salto fra due sponde e crea nuovi percorsi da esplorare.